Musega de Poza

A partir da chi ot che enlouta i à scomenzà via sta Musega, n fort devalpai a chi che se à dat jù par chest grop, per ne far ruar fin chiò.

 

Era tempo di fame e di stenti. Era il tempo in cui i sentori della ricca economia fassana erano ancora lontani, troppo lontani per la maggior parte della popolazione. Ma era anche il tempo degli uomini testardi ed orgogliosi, disposti a tutto pur di realizzare il loro sogno. Era il 1933.

 Otto giovani amici sulla via di casa, dal ritorno dalle prove di banda nel vicino paese di Vigo, decisero che era giunto il momento della svolta, il momento di dare libero sfogo a quel campanilismo fino allora soffocato: anche il loro paese, Pozza, doveva avere la sua banda musicale!

 Eccoli lì, belli e fieri, loro, i fondatori della Musega de Poza, incuranti del denaro latente, della divisa inesistente, dei pochi e malandati strumenti. Non era questo l’importante, perché la voglia di fare e di creare, la passione, quella vera, studia gli ostacoli e li supera. Francesco (Checo) Vian da l’Omenet, Pio Florian de Ciout, Carlo Barbolini de Tieser, Ermanno Vian de Bocol, Federico Bassetti Cionfie, Alfonso Cloch de Cò, Mario Lorenz de Jan e Giovanni Florian de Ciout: sono loro gli artefici del nostro gruppo, la sua prima anima ed il suo primo corpo. Un gruppo cresciuto per dimensioni, per livello di preparazione, cresciuto forse anche per fama, ma un gruppo rimasto fedele a quei valori che ottant’anni fa resero possibile la sua nascita. Suonare assieme per divertire e per divertirsi, suonare assieme perché lo strumento è un tutt’uno con il suo padrone, perché lo strumento e lo spartito regalano soddisfazione a chi lo suona e regalano un sorriso a chi solo ascolta.

 La storia della Musega de Poza vede il numero di suonatori, rigorosamente solo maschi, raddoppiare già l’anno successivo, Francesco Vian era il presidente e Pio Florian il maestro. Unico segno di riconoscimento era il capello, che visti i tempi, non poteva che ricalcare un modello militare. Lo scoppio della guerra tutto sconvolse e tutto coinvolse; tra le braccia dei nostri suonatori non luccicava più lo strumento, ma un cupo fucile; alle allegre note dei loro poveri, ma così preziosi spartiti, i suonatori dovettero urlare e ascoltare suoni e grida di odio, di lamento e di sofferenza. A guerra conclusa due amici mancavano all’appello, Guglielmo Cincelli e Federico Bassetti.

 Ma la speranza nel futuro e la voglia di ricominciare portarono quasi venti nuovi elementi “alla scuola” di Pio Florian. Tra loro un ragazzino particolarmente dotato, Paolo Cincelli da la Zeli, Paolin, al quale, all’inizio degli anni cinquanta, il maestro Pio passò la bacchetta. La banda diventa per Paolin la sua seconda casa, il luogo dove incontrare i suoi allievi ai quali egli con dedizione, amore a passione, proprio come un padre, cerca di infondere forse più che una buona preparazione musicale, la passione per essa, l’impegno nel leggerla, l’impeto

 nel suonarla. Paolin passava ore intere a ricopiare a mano le note da distribuire ai suonatori, fabbricava con vecchi bastoncini da sci le ance per i clarinetti, sceglieva tra le partiture arrivate per posta, merce di poco valore, quella da impartire. La prima divisa arriva agli inizi degli anni sessanta, grazie alla conoscenza di un noto commerciante che fornisce la stoffa ad un prezzo irrisorio. Il modello venne copiato, non senza suscitare gelosia, da quello della banda di Vigo, pantaloni blu, gilet rosso, calzettoni, camicia e fascia in vita bianchi. Nessun cappello e nessuna giacca, non c’era abbastanza denaro. Fino agli anni settanta le esibizioni della banda erano legate ai rituali della chiesa e alle feste di paese, ma si sa, la società muta con il mutare della sua economia, e l’afflusso sempre più massiccio di turisti in Val di Fassa fa crescere gli appuntamenti anche per la Musega de Poza. Un impegno sempre maggiore, che non spaventò ma diede ai suonatori maggior slancio. Fu sempre sotto la direzione di Paolin che all’interno del gruppo, a metà anni settanta, vennero “accettate” le prime donne. La nostra storia continua, tra molti spostamenti di sede, fino al 2002 quando l’amministrazione ha donato alla nostra associazione una sala presso la “Ciasa de noscia jent”. Anche gli impegni cambiano col tempo, ai consueti appuntamenti in valle si aggiungono importanti tasselli costituiti da concerti e sfilate un po’ in tutta Italia e oltreconfine: da Agrigento a Berlino, dalla partecipazione alla famosa festa della birra: l’Oktoberfest di Monaco di Baviera, allo stadio di Firenze, e ancora Verona, Mantova, Arezzo, Fano e Cattolica.

 La storia attuale vede nel ruolo di maestro, dal 1995, Giancarlo Dorich de Mongo, che ha saputo portare una ventata di novità tra il repertorio ampliandolo con brani classici, moderni, folkloristici, opere.

 Il più suggestivo e indimenticabile ricordo rimane quello della salita sulle Torri del Vajolet: divisa già indossata, strumento caricato sulla schiena ed eccola lassù la Musega de Poza, a suonare note che si perdono nel cielo, che oltrepassano le cime arrivando dirette al cuore di chi ancora oggi si emoziona guardando quelle immagini.

 La Musega de Poza conta quasi settanta componenti tra suonatori, portabandiera e ragazze in costume tradizionale. La divisa attuale si rifà alla tradizione ladina, ai capi indossati da chi prima di noi ha vissuto in questa nostra valle, e con la stessa dignità è nostra intenzione indossarli e portarli, con la nostra musica, in giro per il mondo, per testimoniare che la cultura ladina non è cosa buona solo per musei e volumi, ma ancora oggi è qualcosa di vivo, da vivere ogni giorno con entusiasmo ed orgoglio. Il primo Cd della Musega de Poza s’intitolava “Jent algegra” ed è stato inciso nel 2000, un nuovo Cd è stato appena rilasciato, si chiama "80 Egn Ensema" ed è stato il regalo che la banda ha fatto a se stessa per il suo ottantesimo compleanno: una fatica e un onore incidere quei brani costati ore di prove e riprove, di dita e labbra indolenzite. Ma come sempre, il risultato vale tutta la fatica e l’impegno dato. E’ un regalo per la banda, è un regalo per la comunità intera. Perché la banda è un tutt’uno con il suo paese e con la sua gente e questo CD creato in occasione dell’ottantesimo anno di fondazione vuole entrare in tutte le case per portare allegria e serenità, insieme a una nota di orgoglio.

 La nostra storia, vecchia ormai di ottant’anni, continua con entusiasmo e speranza perché, fatta di uomini e sentimenti, è la storia di problemi affrontati assieme, di delusioni condivise, di traguardi raggiunti insieme.  Per ogni testa che stagione dopo stagione si fa sempre più brizzolata, ce n’è una di un giovane curioso e preparato che arriva: un cambio generazionale lento, perché nessuno vuole lasciare la banda, perché ragazzini e ragazzoni qui stanno bene, oltre che suonare insieme sanno ridere, sanno confrontarsi senza necessariamente scontrarsi e dalla reciproca conoscenza sanno trarre quanto di più buono nasce da un confronto corretto e amicale.

 E così certo, 80 anni meritano una festa, una grande e bella festa. Ottanta. Sono pochi se messi sulla linea del tempo, ma sono tantissimi se messi sulla linea culturale perché tante e profonde sono le differenze che intercorrono tra noi e quei ragazzi che in quella sera di ottant’anni fa di certo non potevano sapere che un giorno avremmo scritto e parlato di loro con riconoscenza per aver creato la Musega de Poza. Tante e profonde sono pure le differenze che si leggono nel territorio, nel modo di vivere, di organizzare, di conoscere e scoprire il mondo. Tutto cambia: da quelle foto in bianco e nero degli anni 30, i baffetti e il vestito della festa, il viso già vecchio e lo sguardo serio, cambia non solo la divisa della banda, bensì tutto quello che attorno ad essa sta: le case, le macchine, le strade, la gente e il suo viso e le sue smorfie, i colori… A guardare bene, a guardare oltre e dentro, una caratteristica sempre si riscontra: la passione. La passione la musica e per lo stare assieme, che ci permettono oggi di festeggiare l’ottantesimo anno di esistenza della Musega de Poza e di alzare il calice e con riconoscenza guardare a chi c’è e pensare a chi non c’è più, guardando avanti con entusiasmo e con speranza, ben consapevoli e certi che tanti saranno gli anniversari che verranno.

                                                                                                                                                                                 

 

Francesca Degasper

Foto by Anton Sessa, Nicola Angeli e Ralf Brunel